Elogio del Puro Contemplare

Ciò che riguarda la psichedelia ma non trova posto nelle altre sezioni.
Rispondi
Avatar utente
Horror Vacui
Messaggi: 39
Iscritto il: lun set 21, 2015 10:58 pm

Elogio del Puro Contemplare

Messaggio da Horror Vacui » ven set 25, 2015 10:46 am

Un breve testo del nostro buon Albert. Semplice ma molto evocativo, periodicamente lo rileggo e non mi delude mai. Mi teletrasporta lì, nel Rittimatte.
Divisione in paragrafi e grassetto aggiunti da me per facilitare la lettura.

Albert Hofmann
Elogio del puro contemplare

Perché, nella nostra epoca, in cui pressoché ovunque nel mondo si offrono alla vista ben poche cose
piacevoli, qualcuno scrive un libriccino in lode del contemplare? Ogni giorno i mass-media parlano
di guerre, catastrofi, disagi, povertà, inquinamento; e da lungo tempo ormai persino nel nostro Paese
le cose non vanno più troppo bene. Ma la colpa di questa sventura è l’uomo stesso. E a lui, sotto la
sua responsabilità, che è stata consegnata la creazione con tutta l’abbondanza che vi è racchiusa.
Là ove le mani dell’uomo non l’abbiano devastata, la natura ci offre tuttora la sua magnificenza e i
suoi tesori. E per questo che, qualora sia loro concessa la possibilità, le persone tendono sempre più
a trasferirsi dalle città per andare a vivere in campagna.

Con questo scritto vorrei esprimere la mia gratitudine per il privilegio di vivere in un ambiente
agreste e per di più in un luogo cosi straordinario qual è il Rittimatte, ove tuttora si vedono volare le
farfalle.


Il Rittimatte è un’estesa radura nel bosco sul pendio settentrionale del Giura, situata al di sopra del
villaggio di Burg nel Leimental.
Qui, in questo piccolo paradiso terrestre, mia moglie Anita e io con la collaborazione di due dei
nostri figli costruimmo la nostra ambita dimora per trascorrervi gli anni del riposo. Da allora sono
passati più di venticinque anni, un lungo periodo ricco di vita. Il Rittimatte è diventato il focolare
domestico di Filemone e Bauci, come Anita è solita chiamare affettuosamente noi due vecchi
.
Nonostante l’isolamento non ci sentiamo mai soli, i figli venivano e tuttora vengono spesso a farci
visita, e ora anche i nipoti. Allegre e numerose sono state le feste in famiglia finora celebrate sul
Rittimatte; accade sovente, poi, di ricevere visite di amici, anch’essi amanti di questo posto
meraviglioso.

Quasi ogni giorno ci concediamo una breve passeggiata risalendo il lieve pendio che conduce alla
panca adiacente l’entrata del bosco. Sulla destra il viottolo è fiancheggiato da una rada macchia di
svariati arbusti, tra cui susini selvatici, noccioli, biancospini, rose selvatiche, berrette da preti e tanti
altri ancora. A sinistra lo sguardo corre libero sopra la piccola vallata del novello Birsig situato
sull’ampia dorsale boschiva del Challhohe.

A due passi dietro la panca si trova una pietra di confine, con lo stemma di Berna su un lato e una
vistosa F sull’altro. Di qui, verso ovest, il confine franco-svizzero risale il bosco fino al Monte
Ramel e scende a valle in direzione nord attraversando il nostro prato.
Un paio di anni fa, sul lato francese a ridosso del bosco e con l’aiuto di uno dei miei nipoti ho
costruito una piccola panca. Da qui, sulla panchina di Roland, l’occhio spazia dabbasso verso i
villaggi del Sundau: Wolschwiller, Lutter, Raedersdorf, Sondersdorf e Oltingen; e in lontananza
verso la catena montuosa del Vogesen, in direzione del levante, sorge la Schwarzwald, la Foresta
Nera.

Qui, sul Rittimatte, ho ritrovato il paesaggio che da bambino mi rendeva cosi felice: il prato con gli
stessi fiori, lo stesso bosco, l’ampio guardo sulla campagna.
Qui si vive il mutare delle stagioni nella sua traboccante magnificenza. Trascorso il lungo e
taciturno inverno, il primo canto del merlo annuncia il sopraggiungere della primavera; con lei
subito appaiono, lungo il margine del bosco, le viole e le primule, sul prato intorno alla casa e nel
giardino spuntano il bucaneve, il croco, il piè di gallo e l’anemone, mentre nel bosco ancora spoglio
fiorisce il rosso mezereo.

E giunge il bel tempo. quando il Rittimatte riluce di giallo in un tappeto di denti di leone e il viale
dei ciliegi sollecita la passeggiata attraverso la sua bianca volta fiorita, in mezzo alla quale ronzano
le api.

Di anno in anno si fa costantemente presente la meraviglia del maggio: nel bosco che si riveste del
verde novello, sul variopinto prato in fiore con il bianco delle margherite, il blu della salvia, degli
amor nascosti e delle campanule, il giallo delle barbe di becco, dei ranuncoli, delle peloselle e il
rosso intenso dei gigli caprini che crescono in luoghi particolari.


Una volta fiorite, presso il margine del bosco, le rose selvatiche, ha inizio la bella stagione estiva.
Facciamo sovente colazione all’aperto quando il sole del mattino rischiara il giardino di Anita.
Profumano le rose, le rondini sfrecciano attraverso il blu del cielo. Dal vicino boschetto giunge il
canto degli uccelli, oppure ascoltiamo della bella musica trasmessa dal programma radiofonico del
mattino. Inizia così una bella giornata.

La calura meridiana diffonde l’odore del fieno; il contadino ha da poco falciato l’erba. Il prato
fiorito è scomparso,eccetto un’ampia striscia laterale su cui continuano a sbocciare i fiori fino a
settembre inoltrato. Solo allora si può provvedere a tagliare anche questa parte.
Una copiosa fioritura estiva allieta pertanto il viandante lungo il viottolo che sale fino alla panchina
sul margine del bosco. Il trifoglio rosso e giallo, le campanule blu, le rosee lupinelle, le inule dal
giallo intenso, le svariate orchidee selvatiche e numerose altre piante qui appassiscono per poi
lasciar cadere il seme e riprodursi. Grazie a questo processo sopravvivono quelle specie in pericolo
tra cui le piante alimentari di vitale importanza per le larve di farfalla.

Dopo la fienagione sono mature le prime ciliege. Gli alberi di ciliegio, che fiancheggiano da
entrambi i lati un sentiero lungo il prato, producono varietà che maturano in periodi diversi. Si
possono pertanto assaporare questi frutti eccellenti per l’intero arco dell’estate.
In anni di abbondante fruttificazione a malapena si è stati in grado di provvedere alla raccolta. Una
parte di essa veniva allora depositata in una botte per la preparazione del kirsch. Amici e conoscenti
erano invitati a prender parte alla gioiosa festa della ciliegia. Nonostante essi tornassero a casa con
le ceste piene, agli uccelli rimaneva pur sempre abbastanza di che beccare.
La stessa cosa è accaduta ogni volta che i susini, nella parte inferiore del Rittimatte, hanno fruttato
copiosamente. Una rimanenza di eccellente grappa di Regina Claudia proviene da uno di questi
anni di abbondante raccolta.

L’autunno sul Rittimatte si presenta nel suo ricco fulgore; quando la nebbia mattutina si dirada,
s’illuminano i boschi tutt’intorno di un’incantevole luce gialla e rossa. Ma anche si intromette una
certa malinconia, quando i colchici annunciano la fine del tempo della fioritura.


Per l’ultima volta cuciniamo ai ferri sul camino esterno alla casa e ceniamo all’aperto sotto il
porticato. Spesso la vista in direzione di ponente è straordinariamente bella, quando il profilo del
grosso pero, l’albero preferito di Anita, si staglia oscuro contro un rosso cielo serale. In tardo
autunno si odono tutt’intorno le fragorose tempeste novembrine provenienti da occidente.
Confortevolmente protetti all’interno della casa, osserviamo attraverso le ampie vetrate del salone
l’agitarsi caotico delle foglie.


Anche l’inverno, che nella città provoca principalmente solo disagi, manifesta quassù, nella natura
libera, la sua bellezza: quando, al sopraggiungere della prima neve, il Rittimatte si riveste
silenziosamente di bianco: o quando la brina argentea trasforma il bosco in un luogo incantato.
Fonte di grande gioia è l’avvistamento continuo della ricca fauna presente tuttora sul Rittimatte.
In
qualsiasi periodo dell’anno è possibile vedere i caprioli uscire dal
bosco; spesso un’intera famiglia con il caprioletto rigato. Talora, di giorno, si possono anche vedere
le volpi a caccia di topi, nutrimento per i loro piccoli. La lepre si è fatta rara. I cinghiali, al
contrario, si mostrano più di frequente. Non che sia facile incontrarli: tuttavia, dopo che sono stati
in giro durante la notte, lasciano sul prato numerose e confuse tracce del loro passaggio,
particolarmente appariscenti in presenza della neve. Ogni tanto si vedono barcollare i tassi sotto la
luce dei lampioni della strada, quando, verso sera, fan ritorno alle loro tane. È soprattutto d’inverno
che si offre allo sguardo meravigliato la ricca varietà del mondo degli uccelli, quando gruppi
variopinti di cinciallegre, fringuelli, zigoli gialli, a cui subito si uniscono i picchi muratori e i
picidi, vengono a mangiare il becchime nel vassoio. In autunno, le cesene a stormi si gettano in volo sopra il pendio del prato. Gracchiando, le ghiandaie si spostano di continuo tra le grosse querce
lungo il margine del bosco e i ciliegi.
Presente oramai solo in ambienti naturali, si riconosce il corvo imperiale dal suo gracidare continuo.
In cielo volteggiano gli uccelli rapaci: la poiana, l’astore, il nibbio, creature straordinarie che
l’occhio può ammirar dappresso, vieppiù intorno al prato falciato di recente, quando si lanciano
sulle loro prede.

D’autunno si scorgono i cardellini, sovente in piccoli gruppi, destreggiarsi sui fili d’erba del prato
non ancora falciato, alla ricerca di semi maturi. Ogni maggio, durante i primi anni della nostra
permanenza sul Rittimatte, vedevamo spesso il cuculo sulla cima di un albero, il quale era solito
accompagnare il suo richiamo con un colpo d’ala;
adesso è più raro osservarlo e solo
occasionalmente si ode ancora il suo grido provenire dal bosco. Sul Rittimatte, sebbene siano
divenute più rare, l’occhio può tuttora gioire della presenza di farfalle di molte specie.

Già con il primo tiepido sole di primavera, dopo aver svernato, svolazza la cedronella presso il
margine del bosco. Presto fa anche la sua comparsa la pavonia, che ha anch’essa ivi trascorso la
fredda stagione. Ma persino in ottobre si assiste spesso al continuo agitarsi di queste pregiate
farfalle sopra i fiori blu dell’astro. Qui e anche intorno ai frutti caduti dal pero non di rado
s’incontra il superbo vulcano. Tra gli ospiti meno assidui, quantunque presenti ogni estate, figurano
il macaone, l’iride, la vanessa del cardo e l’antiopa. Più sovente si ammira la vanessa multicolore, il
tabacco di Spagna e, sui fiori del prato non ancora reciso, moltissime galatee. Sulla Rupe del Falco,
sopra il pendio del Ramel, ho persino incontrato l’apollo. Presso le zone umide lungo il sentiero dì
campagna svolazzano qua e là piccoli gruppi di licenidi. Gioielli alati sono anche la adscita statices
di color verde madreperlaceo e la zygaena filipendulae, le quali si possono soprattutto ammirare
sopra la celeste coltre fiorita delle scabiose.

In qualsiasi periodo dell’anno, le passeggiate per i boschi e i prati che circondano il Rittimatte sono
state e tuttora sono per me una fonte inesauribile di ristoro fisico e spirituale. Innumerevoli sono i
poeti e i pensatori che hanno altamente lodato il vivere in campagna e nei boschi, giacché
un’intensa felicità dimora nell’uomo qualora la natura lo renda partecipe della sua vita. Una
sensazione di caduta del tempo e insieme di appartenenza al puro essere è ciò che attende l’uomo in
questi momenti.

Della maggior parte delle riflessioni contenute nel saggio Percezioni di realtà, pubblicato in
occasione del mio ottantesimo compleanno, debbo ringraziare le ispirazioni avute durante certe mie
escursioni attraverso i boschi e i prati.
Per la loro stesura ho usufruito della necessaria quiete che mi stata offerta dalla tranquillità
monastica del mio studio, quello che la mia famiglia chiama l’eremo.
Dalla scrivania lo sguardo
incontra il prato a breve distanza, più in basso il margine del bosco e oltre di esso, in lontananza, i
villaggi e le colline dell’alsaziano Sundgau.

In occasione del mio novantesimo compleanno, trascorsi dieci anni dallo scritto che qui redassi, lo
stesso luogo mi ha stimolato ancora una volta a formulare alcune riflessioni fondamentali. Esse
vengono a formare la seconda parte di questo libriccino.

La mia visione del mondo sgorga da due sorgenti. La prima è da rintracciare nell’infanzia, essa ha a
che vedere con la percezione infantile della natura, paragonabile alla visione mistica. Quand’ero
bambino e nella tarda fanciullezza ho vissuto taluni episodi di gioia intensa: quando un prato in
fiore, o un luogo soleggiato dentro il bosco, d’improvviso risplendevano in una chiara insolita luce
di avvolgente bellezza, che colmava l’animo di felicità indescrivibile. Non sentivo più allora, di
essere separato dalla natura che mi si offriva tutt’attorno, bensì avvertivo di farne parte.
Queste esperienze visionarie hanno caratterizzato la mia immagine del mondo nei suoi tratti
fondamentali, offrendomi la certezza dell’esistenza di una realtà imperscrutabile e vitale che si cela
allo sguardo comune.

La seconda fonte della mia visione del mondo risiede nelle conoscenze acquisite in virtù della mia a
attività dl ricercatore chimico e dello studio di opere di carattere scientifico naturale e filosofico naturale. Il cristianesimo, i grandi filosofi, poeti e scrittori rimarchevoli hanno contribuito alla sua
formazione.

E’ opinione largamente diffusa che la visione oggettiva e materiale del mondo sostenuta dalle
scienze naturali e l’esperienza mistico-religiosa siano fra loro in contrasto. E’ vero semmai il
contrario. Esse si integrano in quella che è la visione comprensiva dell’unica e medesima realtà
spirituale-materiale. Ciò può venire colto in maniera particolarmente suggestiva, per esempio,
attraverso l’osservazione di una bella farfalla. Contemplando siffatti gioielli di natura si possono
schiudere quei pensieri che concernono la creazione intera e la natura umana ivi racchiusa.

In primo luogo la vista di queste incantevoli creature, ove la bellezza ha la sua dimora, ci rende
intensamente felici. Esse sembrano provenire da un altro mondo, più luminoso, più colorato, più
gaio, un mondo più spirituale privo di pesantezza. Tutti gli sforzi tesi a raccontare in dettaglio
questa bellezza, questi colori di uno splendore cangiante e opalescente naufragano. Vani sarebbero
pure gli sforzi che mirassero a estrarre questi bei colori dalle ali della farfalla.
Esse difatti non contengono alcun pigmento.
La colorazione è dovuta a piccolissimi cristalli di
sostanze incolori di grandezza pari alla lunghezza d’onda della luce, i quali, attraverso la rifrazione
luminosa, danno origine, così come accade per l’arcobaleno, a questi meravigliosi effetti cromatici.
Per quale motivo si dà la possibilità di venir sedotti dall’essenza e dalla bellezza delle farfalle? Io
credo che ciò derivi dall’esperire la nostra co-appartenenza alla creazione.


Quando sosto lo sguardo su di un fiore del prato lungo il margine del bosco, su cui or ora si è posata
una farfalla - Sommervogel è il nome in dialetto locale con cui chiamiamo queste meravigliose
creature - vivo con essa un “raccoglimento nel mondo”, nell’eterno istante del qui e ora, avvolti
nell’identica radiosa cupola celeste, entrambi sfiorati dal medesimo sussurrante alito di vento.
Siamo l’uno accanto all’altra sopra questo splendido angolino di terra entro lo spazio infinito del
tutto; ciascuno con la propria individualità, partecipiamo della vita universale che attraversa il
cosmo nell’istante senza fine. Sorretti da questa consapevolezza, si è rapiti da un amore per la vita
che ci colma di gioia.
Sono pertanto la luce, la vita, l’amore che tengono uniti tutti noi. Qualora uno dei tre difettasse, non
si darebbe alcun essere nell’oscuro vuoto infinito dello spazio interplanetario.

La luce e la vita formano un’unita indivisibile. Grazie all’irraggiamento della luce, sulla terra
inanimata si sono formate le molecole, da cui è nata la cellula primordiale della vita. Dagli esseri
viventi unicellulari si è poi sviluppata, sotto gli occhi luminosi dell’amorevole genio creatore, la
scala del creato; dalle primitive piante senza fiore a quelle con i fiori, dagli animali primordiali
passando attraverso i pesci, i rettili, gli uccelli fino ai mammiferi e infine all’uomo. In virtù del
flusso di energia luminosa è sorta la vita sulla terra. La verde coltre del regno vegetale può
accogliere entro di sé, con sensibilità materna, il torrente di luce che unisce il sole alla terra e
usufruendo di questa energia è in grado, dall’acqua della terra e dall’acido carbonico dell’aria, di
dare vita a nuove piante, alimento per l’uomo e l’animale. Grazie alla luce proveniente dalla
primigenia fonte d’energia cosmica si è sviluppata e si sostiene la vita intera, quella vegetale, quella
animale e quella umana. Lo stesso processo mentale del cervello umano viene alimentato da questa
sorgente di energia, per cui anche l’anima umana, la nostra coscienza, rappresenta il più elevato e
sublime grado di trasformazione della luce. Noi siamo esseri luminosi; ciò non è soltanto
un’apprensione mistica a cui alludono la parola ‘illuminazione’ e l’importanza accordata alla luce in
molte religioni, ma anche un riconoscimento da parte delle scienze naturali.

Ma la luce non rappresenta soltanto il fondamento bioenergetico di tutti gli esseri viventi sulla terra,
bensì è anche il mezzo attraverso cui il creatore rende manifesta alle sue creature la meraviglia della
sua creazione.

Io vedo la farfalla gioire in mia presenza intorno al suo fiore, vedo il prato e l’intera bellezza del
paesaggio solo perché il tutto riposa nella luce. La ricerca scientifica ha chiarito la natura fisica
della luce e il meccanismo biologico della vista. La luce consiste in oscillazioni elettromagnetiche
che inondano l’universo sotto forma di un gigantesco spettro di lunghezze d’onda, di cui tuttavia i nostri organi visivi sfruttano solamente un piccolissimo segmento, affinché il mondo esterno si
renda manifesto. Ciò che noi percepiamo come luce corrisponde a una frazione assai ristretta di
lunghezze d’onda, compresa tra 0,4 e 0,7 millesimi di millimetro; entro questo settore noi
percepiamo le diverse lunghezze d’onda sotto forma di svariati colori. Quando la luce di lunghezza
d’onda pari a 0,4 millesimi di millimetro, proveniente da un oggetto esterno, colpisce il nostro
occhio, attraverso le corrispondenti stimolazioni elettrofisiologiche sul nervo ottico del centro
visivo, l’oggetto in questione ci appare blu; un oggetto che riflette la lunghezza d’onda di 0,7
millesimi ci appare rosso.

Là fuori nel mondo non vi è alcuna immagine colorata: essa ha origine soltanto sullo schermo
psichico all’interno di ciascun essere umano. La riflessione delle scienze naturali sul fenomeno
visivo ci rende consapevoli del fatto portentoso, nonché di primaria importanza, secondo cui
ciascun singolo uomo si crea una propria immagine del mondo.
Ciò vale anche per gli animali superiori, benché solo all’uomo sia data la possibilità di comprendere
e interpretare il messaggio spirituale racchiuso in quest’immagine: il silenzioso manifestarsi del
creatore. Il vedere unito al pensiero si trasforma pertanto in puro contemplare.


Tutta la conoscenza, e con essa l’intera natura umana, si basano sul puro contemplare.
Attraverso il puro contemplare si espande la nostra consapevolezza del miracolo della creazione e
del nostro soggiornarvi. Poiché l’evoluzione dell’umanità va di pari passo con l’allargamento della
coscienza, all’atto del contemplare spetta la suprema importanza per il perfetto compimento del
vedere.
Inerenti all’atto del vedere, possiamo discernere vari passaggi, il cui esito finale è il puro
contemplare.
Il primo stadio é rappresentato dalla semplice percezione di un oggetto, senza che esso susciti il
nostro interesse.
Nella fase successiva l’oggetto richiama la nostra attenzione.
Nella terza fase l’oggetto viene osservato ed esaminato più accuratamente. Hanno inizio adesso
riflessione e indagine scientifica.
Il grado più elevato del vedere, in relazione soprattutto a un ente materiale e al mondo esterno,
viene infine raggiunto una volta soppressa la separazione tra soggetto e oggetto, tra osservatore e
osservato, tra me e ciò che mi sta di fronte, quando divengo tutt’uno con il mondo e il suo
fondamento spirituale primigenio.
Qui l’amore ha la sua ragione d’essere. Il grado più elevato del vedere è l’amore. O, viceversa,
l’amore può essere definito come il grado più elevato del vedere. Elogio più sublime di quel vedere
fattosi più intenso, quale è il puro contemplare, che non può essere prodigato.

Tratto da: “Altrove”, annuario della Società Italiana per lo Studio degli Stati di Coscienza, 2008.


Avatar utente
M⊙nad
Messaggi: 402
Iscritto il: gio set 17, 2015 3:13 pm

Re: Elogio del puro contemplare

Messaggio da M⊙nad » sab set 26, 2015 8:58 pm

Grazie

"The man who dies before he dies, does not die when he dies." A. Sancta Clara

ATTENZIONE! Tutti i miei post sono scritti a puro titolo informativo e non vogliono incitare in alcun modo all'utilizzo di sostanze stupefacenti e/o psicotrope!

Avatar utente
Abeja G.
Messaggi: 2887
Iscritto il: mer ott 14, 2015 2:42 pm

Elogio del puro contemplare

Messaggio da Abeja G. » mer nov 30, 2016 8:14 pm

ti ringrazio anche io; bell'articolo!

Rispondi