Da persona che ha avuto esperienze anche forti, ma non ha mai assunto dosi oggettivamente alte, direi che non esiste esperienza psichedelica che sia "tutta di là" o "tutta di qua". Visualizzo la cosa come una membrana che si lacera in più punti, come una rapida decomposizione. Il velo diviene una rete smagliata e l'unica realtà che si sente è il vento che passa attraverso quei fori.
Metaforicamente, penso che la mia attenzione rivolta solo al "movimento" di una cosa ineffabile e intangibile (il vento) tra i due mondi ("terreno" e "iperuranico", se si vuole), simboleggi proprio questa qualità dell'esperienza psichedelica nonché della vita: essere dispersa.
Cioè, il non potersi reggere direi quasi ontologicamente (la parola è azzardata, necessiterebbe di chiarire i propri fondamenti epistemologici) senza un punto incoerenza, una dualità esterna, oltreconfine, trascendente. Ci deve essere sempre una compenetrazione. Restando nella metafora del vento, uno "spiffero"
Forse mi sbaglio e qualcuno che ha davvero "trapassato" potrà correggermi, ma ho l'impressione che "trapassare" voglia solo dire essere talmente investiti dalla "Luce del Laggiù" da non riconoscere il riflusso della marea e i segnali, ridotti ma pur sempre presenti, della dualità da cui non possiamo staccarci naturalmente.
Ho messo troppe virgolette, ma non le tolgo perché sono richiami a visualizzare, segnali di... malleabilità del concetto.
E mi rendo conto che prima di iniziare qualsiasi discorso in merito andrebbe chiarita la domanda:
cosa c'è per chi chiede e per chi risponde "di là dal velo", cosa c'è di qua? in che tipo di struttura metaforica ci stiamo muovendo?
Perché al solito il linguaggio è un oggetto molto "di qua" per essere usato per parlare del "di là"...